L'AC si confronta con Mons. Gianni Captini sul Vaticano II
La Costituzione del Concilio sulla liturgia
TORTONA - Martedì 12 marzo, ore 21: la ragione per cui la sala del Seminario di Tortona vedeva la presenza di così tante persone è duplice: da un lato la presenza con noi di Mons. Gianni Captini, parroco della Duomo in Voghera e, d’altro lato, il tema della riflessione, la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosantum Concilium” che è stata la prima Costituzione ad essere approvata in data 4 dicembre 1963.
Guidati dalla competenza di don Gianni, i numerosi presenti hanno avuto modo di analizzare alcuni paragrafi del primo capitolo che illustra i “Principi generali per l’incremento e la riforma della sacra liturgia”, a partire dalla etimologia greca del termine, nel suo significato originario di “opera pubblica”.
Secondo lo schema triadico Parola-evento-rito, la liturgia è opera a favore del popolo poiché ciò che Dio dice e compie diventa mistero celebrato; Dio, nel corso dei secoli, ha parlato ed agito in molti modi, ma, giunta “la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne” (SC,5) ed in Gesù Cristo, che è Sacramento del Padre e, quindi, “strumento della nostra salvezza, ci fu data la pienezza del culto divino”.
L’intera vita liturgica, pertanto, è cristocentrica e sacramentale, poiché rivela la presenza di Dio; ogni celebrazione liturgica, infatti, è azione sacra, poiché “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche” (SC,7).
Gesù è presente nella persona del ministro, certo, ma lo è soprattutto sotto le specie eucaristiche (pane e vino), con la sua forza è presente nei Sacramenti, nella sua Parola ed è presente nella Chiesa, assemblea che celebra.
La Chiesa, allora, è comunità che celebra il mistero pasquale, ma, per essere davvero questo, è necessario che i fedeli presenti in chiesa ne siano coscienti e prendano parte alla azione liturgica in modo attivo, consapevole e responsabile: è qui, a distanza di cinquant’anni da questa illuminante Costituzione conciliare, restano i problemi.
La “Sacrosantum Concilium”, infatti, prevedeva l’uso delle lingue nazionali al fine di garantire una migliore partecipazione dei fedeli, poiché, come ebbe a dire Papa Paolo VI (udienza 17 marzo 1965) “prima bastava assistere, ora occorre partecipare, prima bastava la presenza, ora occorrono l’attenzione e l’ascolto; prima qualcuno poteva sonnecchiare o forse chiacchierare, ora no, deve ascoltare e pregare”… però, a verificare con serena serietà le “nostre” liturgie, viene qualche dubbio!
Eppure in Diocesi non si è stati fermi: in attuazione delle norme conciliari e post-conciliari, una commissione del XVIII Sinodo diocesano (1993) si occupava proprio di pastorale liturgica, indicando la liturgia come la comunità cristiana che celebra la propria vita di fede, speranza e carità: dunque non basta una generica religiosità per fare liturgia, non ci si dovrà fermare al ritualismo esteriore, poiché i segni della liturgia non devono nascondere il Mistero, ma, al contrario, devono manifestarlo e parteciparlo al credente, coinvolgendolo in un atto celebrativo vivo… superfluo, a questo punto, dire quanto sia stato ricco il confronto che le parole di don Gianni hanno stimolato e che, speriamo, non si fermi qui.
Patrizia Govi
Data: 20/03/2013