Sabato, 05 Ottobre 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO: riflessione del Vescovo

PRIMA LETTURA (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani.

Dal libro dei Proverbi

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 127)

Rit: Beato chi teme il Signore.

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

SECONDA LETTURA (1Ts 5,1-6)
Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

VANGELO (Mt 25,14-30)

Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

LA SANTA

1/agnese.JPGSanta Agnese di Assisi, monaca clarissa

La santa di questa settimana è la sorella di Santa Chiara che la Chiesa ricorda il 16 novembre dopo che Papa Benedetto XIV nel 1752 consentì all’Ordine francescano di celebrarne la memoria.
Agnese nacque ad Assisi tra il 1195 e il 1197 e fu battezzata come Caterina.

Era la terza delle quattro figlie del conte Favarone di Offreduccio degli Scifi, preceduta da Chiara e Penenda, l’unica di loro che si sposò, e seguita da Beatrice, che avrebbe invece raggiunto le sorelle a San Damiano con la madre. Sua madre Ortolana, venerata come beata, apparteneva alla nobile famiglia dei Fiumi e suo cugino Rufino era uno dei “Tre Compagni” di Francesco d’Assisi. L’infanzia di Agnese trascorse tra il palazzo del padre in città e quello di Sasso Rosso sul Monte Subasio.
Il 18 marzo 1212 la sorella Chiara, mossa dalla predicazione di san Francesco, lasciò la casa paterna per seguirne gli insegnamenti.
Pochi giorni dopo, quando Agnese compì 15 anni, lasciò anch’essa la casa paterna. I parenti tentarono invano di farla recedere dal suo proposito.

Adirato dalla sua decisione, secondo quanto narrato nelle “Cronache dei Ventiquattro Generali”, il padre mandò suo fratello Monaldo con alcuni parenti e uomini armati al monastero per costringere Agnese, nel caso la persuasione non fosse bastata, a ritornare a casa.
La leggenda devozionale racconta come Monaldo, fuori di sé dalla rabbia, abbia sguainato la spada per colpire la giovane senza riuscire nell’intento.

Il suo braccio infatti cadde, privo di forza, lungo il fianco; gli altri allora trascinarono Agnese, afferrandola per i capelli, fuori dal monastero e colpendola a calci ripetutamente.

Chiara arrivò subito per salvarla, ma improvvisamente il corpo di Agnese diventò talmente pesante che i soldati invano tentarono di trasportarla; alla fine la lasciarono, mezza morta, in un campo vicino al monastero.

Secondo questo racconto i parenti di Agnese furono costretti a ritirarsi e a permetterle di rimanere con la sorella Chiara, sopraffatti da un potere spirituale contro il quale la forza fisica nulla poteva.
Dalla stessa Cronaca viene narrato che Francesco, compiacendosi della resistenza opposta da Agnese nei confronti dei suoi genitori, le tagliò i capelli e le diede l’abito della Povertà.

Subito dopo stabilì le due sorelle a San Damiano, in una piccola e grezza dimora adiacente all’umile santuario che Francesco aveva ricostruito.
Chiara e Agnese fondarono l’Ordine delle Povere Donne di San Damiano, o delle Clarisse, come vennero in seguito chiamate.

Dopo che le clarisse si trasferirono a S. Damiano, Agnese nel 1219, nonostante la sua giovane età, divenne badessa e fu scelta da Francesco per fondare e guidare una comunità di Povere Dame a Monticelli, vicino a Firenze, che con il corso del tempo divenne quasi famosa come quella di San Damiano.
Fu poi fondato un convento, di cui resta oggi un edificio, ubicato in via San Vito e noto come la Fonte di San Francesco.
Agnese si recò anche Mantova e a Venezia per dare vita a nuove comunità.
Nel 1253 Agnese fu chiamata a San Damiano durante la malattia di Chiara e l’assistette fino alla morte e al successivo funerale.
Lei morì il 27 agosto, dello stesso anno, 16 giorni dopo la sorella.
È sepolta nella basilica di S. Chiara, insieme alla sorella.

Daniela Catalano

 

Data: 18/11/2017



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