Venerdì, 29 Marzo 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

IV Domenica di Quaresima Video riflessione del Vescovo

I TESTI DELLE LETTURE

PRIMA LETTURA (2Cr 36,14-16.19-23)
Con l’esilio e la liberazione del popolo si manifesta l’ira e la misericordia del Signore.

Dal secondo libro delle Cronache

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme.
Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni».
Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 136)

Rit: Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.

Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.

Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».

Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.

Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.

SECONDA LETTURA (Ef 2,4-10)
Morti per le colpe, siamo stati salvati per grazia.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.
Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

VANGELO (Gv 3,14-21)

Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

IL SANTO

1/massimiliano_1.jpgOggi la Chiesa fa memoria San Massimiliano di Tebessa, che morì martire sotto il consolato di Gaio Annio Anullino e di Nummio Tusco, a Tebessa, nei pressi di Cartagine.

Della vita di questo Santo si hanno scarne notizie. La maggior parte di esse, comunque, le apprendiamo dalla “Passio Sancti Massimiliani”. Da questa sappiamo che Massimiliano subì il martirio un 12 marzo intorno al 295 d.C.

San Massimiliano è stato uno dei primi obiettori di coscienza cristiani che rifiutavano di arruolarsi al servizio militare. Quando fu chiamato alle armi, infatti, Massimiliano le rifiutò fermamente sostenendo che il suo essere cristiano fosse incompatibile con la violenza e quindi con la guerra. Considerato uno dei primi obiettori di coscienza ne è stato nominato il patrono. L’unicità del caso di San Massimiliano di Tebessa è espressa dagli atti dei martiri delle origini, secondo i quali egli abdicò al ruolo di soldato in maniera decisa; negli altri casi si trattò invece di rifiuto di atti di culto legati all’adempimento degli obblighi militari, quindi non tanto di una vera e propria obiezione di coscienza.

Dalla Passio del martire, si apprende che questi era figlio del veterano Fabio Vittore e che, secondo le leggi del tempo, era tenuto a seguire la carriera del genitore. Il giovane cristiano, tuttavia, rifiutò tale strada, nonostante fosse riconosciuto abile al servizio militare. Condotto nel Foro, dinanzi al proconsole Dio-ne, fu da questi interrogato circa le ragioni del suo rifiuto. Egli con fermezza rispose: “Non mi è lecito fare il soldato, giacché sono cristiano”. Alle insistenze e lusinghe del proconsole, egli continuò a ripetere che: “Non posso fare il soldato, non posso fare il male, sono cristiano”.

All’obiezione che, nella guardia d’onore degli imperatori Diocleziano e Massimiano e dei cesari Costanzo e Massimo, vi erano diversi soldati cristiani, il martire rispose in maniera estremamente rispettosa per le scelte altrui, ma dignitosa in merito alla propria: “Essi sanno ciò che è bene per loro. Io, da parte mia, sono cristiano e non posso fare del male”. Di fronte a tale ferma e irremovibile posizione, il proncosole Dione lesse sulla tavoletta la condanna a morte, mediante decapitazione, per il giovane Massimiliano per indisciplina, avendo egli rifiutato il servizio militare. Letta la condanna, al martire non restò che esclamare: “Deo gratias”. Aveva, secondo la Passio, appena ventun’anni, tre mesi e diciotto giorni. Prima di morire, rivolgendosi al padre che lo accompagnava, con volto radioso, disse di donare al carnefice la sua veste nuova, che il genitore aveva preparato per il servizio militare. Il corpo fu raccolto da una matrona che lo ricompose dignitosamente e lo seppellì in una collina, nei pressi della tomba del martire S. Cipriano.

Il martire appartenne in quella corrente particolarmente viva nei primi secoli del Cristianesimo, nota con il nome “cristianesimo sommerso”. Questo movimento di idee, fortemente radicato prima che al Cristianesimo fosse riconosciuta da Costantino la piena libertà, ravvisava una totale inconciliabilità tra l’etica della nuova fede e il servizio militare, a qualsiasi titolo prestato, anche se inizialmente non si estrinsecò nelle forme dell’obiezione di coscienza tradizionalmente intesa.

Tale corrente, a cui Massimiliano fu molto legato, sosteneva la totale incompatibilità e impossibilità di conciliare l’etica della nuova fede con il servizio militare.

Di questo atteggiamento parlò anche Tertulliano nel “De corona”, del 211 d.C. che ispirandosi ad un episodio riguardante un giovane soldato, da lui definito “Dei miles”, si chiedeva se fosse giusto che un cristiano prestasse il servizio militare.

Data: 13/03/2015



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