Giovedì, 18 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

Il Giubileo dei Sacerdoti e dei Diaconi

TORTONA - La festa del Sacro Cuore per un prete tortonese riveste da sempre un significato particolare: è la giornata sacerdotale celebrata con solennità nella nostra diocesi.

Quest’anno venerdì 3 giugno ha assunto un senso ancor più importante essendo il giorno del Giubileo dei sacerdoti e dei diaconi.
Alle ore 12 la porta santa della Cattedrale ha accolto il passaggio della lunga schiera dei concelebranti per la solenne eucarestia, presieduta dal Vescovo di Novara Mons. Franco Giulio Brambilla.
La liturgia, durante la quale sono state rinnovate le promesse sacerdotali, è stata la conclusione di un’intensa mattinata, iniziata alle 9.30 nella cappella del Seminario con la recita dell’Ora Terza e il saluto del vescovo Vittorio, che ha accolto i sacerdoti e Mons. Brambilla e ha presentato il senso di questo nostro ritrovarsi in comunione.
Nel salone del Seminario poi, il vescovo Brambilla, padre sinodale all’ultimo Sinodo sulla famiglia, ha illustrato il cuore dell’Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia” di papa Francesco.
Il relatore, con il suo modo proprio, coinvolgente e gioioso, ci ha introdotti, come in un dittico, nella visione dei due capitoli fondamentali (il IV e l’VIII) dell’importante documento papale nella consapevolezza che: “non si deve gettare sopra due persone il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa (n. 122)”.
Ma certamente la parte più importante è il capitolo VIII, che Brambilla dice essere: “la parte più difficile dell’Esortazione. Non tanto difficile per la sua scrittura, ma perché affronta le situazioni delle famiglie con il cuore ferito.
Oggi ci troviamo di fronte a una pastorale con una forte accentuazione sacramentale e a una prassi ecclesiale, in cui il convenire delle comunità è quasi solo attorno alla celebrazione della messa.
In tale contesto, l’esclusione dalla pienezza della comunione ecclesiale e sacramentale, con l’enfasi posta sull’appartenenza e sull’integrazione non finisce per essere retorica?
Si può appartenere alla comunità essendo esclusi stabilmente dall’Eucaristia sacramentale?
Anche gli atti consigliati (ascolto della Parola, preghiera, comunione spirituale, carità, impegno sociale, educazione cristiana dei figli, ecc.) e gli atti negati (servizio liturgico di lettore; ministero del catechista, il ruolo di padrino per i sacramenti; il ministro straordinario dell’eucaristia, la partecipazione al consiglio pastorale) hanno di mira prevalentemente la questione della pubblica testimonianza e la possibilità dello scandalo.
È riduttivo pensare che, solo aprendo di più su queste soglie di accesso alla vita della comunità, si possa aprire automaticamente uno spazio migliore di appartenenza e integrazione nella Chiesa.
Se non siamo ingenui, lo stile della vicinanza e dell’integrazione esige molto di più che il conteggio di gesti permessi o di azioni non (ancora) possibili, ma invoca un radicale mutamento di sguardo e di relazione pastorale.

A questo punto si apre lo spazio per un coraggioso mutamento dello stile pastorale delle comunità (non solo dei preti e delle famiglie) nei confronti delle situazioni familiari cosiddette ‘irregolari’.
Lo sguardo e lo stile sono questione di un clima e di un rapporto diverso che farà la differenza. Ci chiede di ascoltare chi da molto tempo segue le famiglie dal cuore ferito”.
Questo cambiamento di stile è quello di cui forse oggi abbiamo più bisogno e l’occasione per una vera ed efficace prossimità della chiesa verso chi ha il cuore ferito: “queste situazioni ‘irregolari’ sono il luogo per mostrare la maternità della Chiesa soprattutto attraverso percorsi d’integrazione ecclesiale.
Prendo da chi ha lungamente accompagnato queste situazioni familiari quattro piste di azione:
1) conoscere le situazioni senza indebite semplificazioni (non esistono le categorie - divorziati, conviventi, risposati, ecc. -, ma le persone);
2) ascoltare le vere domande senza schemi precostituiti (a volte non è subito la domanda dei sacramenti, ma la richiesta di stima e fiducia, l’accettazione delle ferite, l’elaborazione della rabbia e del conflitto, il senso di esclusione della Chiesa, ecc...);
3) prepararsi con un minimo di conoscenza degli elementi in gioco (le motivazioni del pensiero della Chiesa, le questioni implicate, il limite a cui si può arrivare, il bisogno di altre competenze, ecc...);
4) aiutare con interventi diversificati (il sostegno per superare la sofferenza del fallimento; l’amicizia per condividere le difficoltà derivanti dalla scelta di esseri risposati, l’aiuto morale per superare il senso di colpa e affrontare le responsabilità; il consiglio per reimpostare nel nuovo contesto la vita cristiana, ecc.)”.

Rimane il tempo per alcuni interventi da parte dei presenti riassunti in sapienza pastorale, amore per la famiglia, ascolto delle situazioni, custodia del valore del matrimonio cristiano.
Appare evidente che anche il percorso di integrazione non può essere immaginato come un facile colpo di spugna, ma come una vera riconciliazione della storia della persona e della famiglia, perché anche in situazioni irreversibili si possa aprire uno spiraglio di autentica vita cristiana.

Claudio Baldi

 

Data: 08/06/2016



Archivio Notizie


Diocesi di Tortona

p.zza Duomo, 12
15057 Tortona (AL)

CONTATTACI

Il magazine della Diocesi

Il Popolo

VEDI ONLINE

oppure

SCARICA L'APP

La radio ufficiale della Diocesi

RadioPNR

VEDI ONLINE

oppure

SCARICA L'APP


©2023 - Diocesi di Tortona