Sabato, 20 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

IL COMMENTO DI DON DOGLIO

PRIMA LETTURA (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani.

Dal libro dei Proverbi

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 127)

Rit: Beato chi teme il Signore.

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

SECONDA LETTURA (1Ts 5,1-6)
Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

VANGELO (Mt 25,14-30)

Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

IL SANTO

1/SGiordanoAnsa.JPGIl 17 novembre la Chiesa fa memoria di San Giordano Ansalone che fa parte di un gruppo di 16 martiri per la fede, uccisi a Nagasaki in Giappone tra il 1633 e il 37 che si aggiunsero ad un altro gruppo di 205 martiri uccisi sempre a Nagasaki-Omura, negli anni 1617-32.

La persecuzione in cui perse la vita questo santo italiano fu scatenata il 28 febbraio 1633, dallo “shogun” (supremo capo militare della nazione), Tokagawa Yemitsu; che con il suo Editto n. 7 colpiva gli stranieri che “predicano la legge cristiana e i complici in questa perversità, che devono essere detenuti nel carcere di Omura”. I sedici missionari contavano nove padri Domenicani, tre Fratelli religiosi domenicani, due Terziarie domenicane, di cui una anche Terziaria Agostiniana e due laici, di cui uno padre di famiglia.

Costoro appartenevano in diverso grado alla Provincia Domenicana delle Filippine e che al principio del 1600, aveva istituito una Vicaria in Giappone.
Essi furono catturati a gruppi o singolarmente, e rinchiusi nel carcere di Nagasaki e in quel quinquennio, in vari tempi ricevettero il martirio.
Il 17 novembre insieme a padre Giordano Giacinto Ansalone, fu ucciso anche padre Tommaso Hioji Rokuzayemon Nishi giapponese e padre Guglielmo Courtet, francese. Sul martirio del gruppo si tennero negli anni 1637 e 1638 due processi diocesani, i cui Atti furono ritrovati solo all’inizio del XX secolo.
I 16 martiri furono beatificati da papa Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1981 a Manila e canonizzati a Roma il 18 ottobre 1987.

San Giordano Ansalone era nato a Stefano Quisquina in provincia di Agrigento, il 1 novembre 1598 e aveva ricevuto il nome Giacinto, che cambiò in Giordano quando, a 17 entrò nel convento domenicano di Agrigento per farsi frate.
Iniziò gli studi a Palermo e poi li proseguì in Spagna, a Salamanca, coltivando sempre il desiderio di andare missionario in Giappone.
Ordinato sacerdote a Trujillo, nel 1625 raggiunse a piedi Siviglia e di qui raggiunse il Messico, all’età di 27.
Dopo un anno in Messico raggiunse le Isole Filippine e rimase per due anni a Cagayan.
Poi si dedicò all’apostolato tra i cinesi, in una colonia del sobborgo di Binondo, a Manila, nella Parrocchia e all’Ospedale S. Gabriele, prendendosi soprattutto cura dei malati.
In quel periodo si dedicò allo studio e all’approfondimento della loro cultura, della lingua, dei costumi e della mentalità cinese diventandone un profondo conoscitore e dimostrandosi precorritore del dialogo con i non credenti.
A tale scopo scrisse anche un’opera, andata perduta, in cui raccoglieva le principali credenze religiose e idee filosofiche dei cinesi, discutendole con i dati della fede e della dottrina cattolica, per un confronto chiarificatore.

Il santo, intraprendente e innamorato di Cristo, non rinunciò mai all’idea di partire per il Giappone. La sua ostinazione si riassumeva nella sua frase “il fiume Giordano potè tornare indietro, io, Giordano, no, non torno indietro”.

Finalmente giunse in Giappone nel 1632, travestito da mercante, perché la persecuzione contro i cristiani negli ultimi si era molto estesa e stava sconvolgendo le comunità. Suo primo compito fu quello di rincuorare, incoraggiare, sostenere i perseguitati.

Ammalatosi gravemente, chiese alla Madonna la guarigione per non morire nel proprio letto ma poter offrire a Cristo e ai giapponesi la testimonianza del sangue.
Fu arrestato il 4 agosto 1634 e sottoposto a tremende torture per aver diffuso l’amore di Cristo.

A Nagasaki fu sospeso a una forca a testa in giù e seminterrato in una fossa, dove agonizzò per sette giorni, fino alla morte che avvenne il 17 novembre 1634.

In Sicilia il santo è ricordato il 19 novembre.

Data: 08/11/2014



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